Nino Frassica è uno dei comici e attori più amati in Italia, non molti ricordano però il suo omaggio al teatro dell’assurdo, un particolare da far piangere davvero tutti.

Personaggio di spessore emotivo e di grande sensibilità è riuscito nella sua carriera a regalarci dei veri pezzi di bravura, stasera sarà ospite su Rai 1 della trasmissione Ne vedremo delle belle ma noi vorremmo parlare di altro ora. Vogliamo tornare al 1970 quando ha esordito con un gruppo comico chiamato I cantatori pelosi figli della cantatrice calva.
È proprio con quest’ultima figura che il nostro ha dimostrato, insieme ai suoi colleghi, una grandissima conoscenza del mondo dello spettacolo. L’abbiamo visto, infatti, omaggiare l’opera simbolo del teatro dell’assurdo di Eugene Ionesco. Si tratta di un pezzo di bravura da non sottovalutare perché si va ora ad approfondire un discorso davvero molto particolare legato a un ambito dell’arte teatrale fin troppo spesso dimenticato.
Attraverso la sua comicità, diverse volte in carriera, l’artista messinese ci ha regalato dei colpi di bravura che forse non tutti hanno compreso a fondo rimanendo di fronte alla superficiale risata. In realtà c’è molto dietro la sua arte, un personaggio straordinario che rende le sue azioni ancora più profonde di quanto si possa pensare.
La cantatrice calva e il teatro dell’assurdo di Eugene Ionesco
Per capire la citazione de La cantatrice calva è importante fare un passo indietro e riflettere sul teatro dell’assurdo di Eugene Ionesco. Si tratta di una denominazione legata a opere scritte, soprattutto in Europa, tra gli anni quaranta e sessanta con uno stile teatrale nato dall’evoluzione di alcuni principi comuni.

A coniare il termine in questione fu il critico Martin Esslin, che chiamò così una sua pubblicazione del 1961, Il teatro dell’assurdo appunto. Questi parlava di un’articolazione artistica del concetto filosofico legato all’assurdità dell’esistenza che fu elaborato dagli esistenzialisti come Jean Paul Sartre e Albert Camus.
Di fatto, in questo senso, si operava verso un teatro con l’abbandono di ogni costrutto drammaturgico razionale e il rifiuto di quello che era considerato un linguaggio logico-consequenziale. La tradizionale struttura dell’opera teatrale viene rifiutata in toto per essere sostituita da una successione di eventi che sono privi di una loggica apparente ma sono legati tra di loro da uno stato d’animo o un’emozione che apparentemente non ha nemmeno significato.
I dialoghi sono serrati e ripetitivi, volutamente senza senso e capaci di portare al sorriso anche in contesti drammatici. In questo contesto hanno lavorato grandi artisti di cui ricordiamo soprattutto Eugene Ionesco e Samuel Beckett.