Muori di lei esce oggi al cinema, abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare il regista Stefano Sardo che ci ha raccontato qualcosa in più della pellicola.
Lasciamo dunque direttamente la parola al regista per raccontarci un film che merita assolutamente di essere visto in sala.

Muori di lei esce nelle sale oggi, come è nata l’idea di scrivere questo film?
L’idea di questo film nasce dalla volontà non del tutto conscia di raccontare una storia col desiderio al centro: avevo inizialmente pensato di ambientarla durante il ferragosto a Roma, una situazione da città deserta. Poi ho vissuto il lockdown e mi è sembrata da subito l’arena perfetta. Ho chiamato Giacomo Bendotti a scrivere il copione con me e da lì abbiamo assecondato la storia e i personaggi, senza farci domande sul tono.
Una cosa che ci ha sorpreso è legata al fatto che il film ha più anime. Si parte come un film drammatico, per poi passare al dramma amoroso per arrivare al thriller. Questa scelta è stata voluta o la storia si prestava semplicemente?
Riguardo al fatto delle molte anime del film certamente posso dirti che non è una decisione razionale. Sono cresciuto amando film che negli anni ‘80 e ‘90 raccontavano queste storie su uomini qualunque travolti da un’avventura. Tutto in una notte, Qualcosa di travolgente, Fuori Orario. Penso che qualcosa di quel cinema mi abbia formattato il modo di intendere le storie. Poi c’è il comedy noir del Woody Allen di genere, Match point su tutti. Questo per le influenze più o meno consapevoli (non facciamo paragoni, per carità). Il processo però non è stato imitativo quanto quello di assecondare la storia vedendo come il personaggio avrebbe reagito man mano che si trovava inconsapevolmente coinvolto in un noir; la domanda che ci guidava era: come reagirei io?
Fare un film con praticamente tre attori è davvero complesso, come sei riuscito a gestirli così bene anche in uno spazio ristretto?
La sfida del film non era gestire pochi attori, quello paradossalmente è più facile perché ti puoi concentrare di più su ognuno, quanto il fatto che molti fatti dovessero accadere in uno spazio compresso, quasi astratto, in una geometria di sguardi che si muoveva sull’asse di due appartamenti speculari. Succede di tutto in pochi metri quadri, io dovevo nascondere l’artificio del teatro di posa (abbiamo girato a Cinecittà) e continuare a cercare un realismo emotivo anche man mano che la storia accumulava colpi di scena. Quello è stato lo sforzo maggiore.
Siamo tornati indietro al lockdown del 2020, con questo dramma che viene descritto anche dalle fatiche di una delle protagoniste. Ma il Covid viene di fatto trattato come aspetto marginale del film. Come mai hai utilizzato questo come pretesto?
Dopo la pandemia il cinema ha raccontato un presente alternativo in cui non c’era mai stata. Come se non ci avesse toccato questa storia. Io penso che chi racconta storie deve rimestare nelle cose che lo mettono a disagio, per questo ero stufo di vedere come si fuggisse dal Covid. Poi non è una storia sul Covid ma è ambientata durante la pandemia, perché in quel momento eravamo tutti presi da profondi bilanci esistenziali, come se fossimo in vitro, e potessimo guardare noi stessi al microscopio. Mi sembrava un’arena perfetta per questa storia di deragliamento dai binari consolidati di un uomo tranquillo. Il Covid resta ai margini perché Luca non lo vede, e non lo vede perché è preso da altro: dalla storia con Amanda che diventa il centro dei suoi pensieri in quei giorni. A un certo punto quando la moglie torna a casa e racconta le sue esperienze terrorizzanti noi nel film neanche sentiamo cosa dice, perché luca pensa ad altro.
Mariela Garriga è stata una vera sorpresa, il suo impatto ci ha ricordato quello di Natalia Estrada ne Il Ciclone. Come siete arrivati a lei, ricordando che ha recitato in diversi film importanti, e pensi che possa avere un impatto come l’Estrada a suo tempo in Italia?
Mariela è una ragazza d’oro e un’attrice molto determinata, con una carriera a cavallo tra Hollywood e Europa, davvero sulla rampa di lancio. Le auguro ogni bene perché è una grande lavoratrice, ha intelligenza, cuore e talento. Per avere l’impatto di Natalia Estrada temo occorra un successo come il Ciclone e quello con tutta la buona volontà è difficile prevederlo.
Muori di lei, intervista a Stefano Sardo
Andiamo avanti nel leggere le considerazioni di Stefano Sardo su Muori di lei. Nel cast Riccardo Scamarcio e Maria Chiara Giannetta.

Cosa volevi comunicare con questo film? Qual era il tuo ultimo obiettivo?
La mia speranza e ambizione al contempo è quella di cercare un intrattenimento intelligente, portando lo spettatore dove non si aspetta di ritrovarsi. Per credere a quello che accade in un film, poi, io devo credere alle motivazioni dei personaggi e questo mi porta a scavare, e alla fine i film che scrivo finiscono per diventare personali anche quando apparentemente non lo sono. Penso che questo film rifletta sulla crisi dell’identità maschile innanzitutto. La mancanza di corrispondenza fra i valori nei quali siamo cresciuti e una realtà in cui sono diventati disvalori, e maschile è quasi una parolaccia. In un tempo così, come si può raccontare una storia sul desiderio? Io ho provato a farlo
Molto spesso in questo periodo film di successo diventano serie tv. Al di là che farne una vorrebbe dire un successo al cinema, ti farebbe piacere? La vorresti dirigere o non credi si presti?
Sarebbe divertente tornare su questi personaggi. Per esempio Antonello, il guru della fertilità interpretato da quel gigante di Paolo Pierobon, è un personaggio che si presterebbe molto a una serie tutta su di lui. Il Padre di Tutti.
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Cosa ti lascia questo lavoro?
Questo lavoro mi lascia la voglia di continuare la strada della regia: senza smettere di scrivere, che è parte di me, spero di avere altre occasioni di tornare sul set da regista perché è qualcosa che mi fa sentire vivo, e mi sembra una conseguenza naturale della scrittura che spero di avere l’occasione di continuare a esplorare. Devo ringraziare Medusa e soprattutto la mia socia Ines Vasiljevic di Nightswim per avermi messo nelle condizioni migliori.
Hai da raccontarci qualche aneddoto particolare delle riprese?
Non ho un fatto divertente da raccontare, è stato bello girare a Cinecittà, era come entrare in un mondo parallelo. Fuori era giorno e dentro era notte e quando uscivi e c’era ancora il sole dopo ore di buio ti sentivi sballato, come di ritorno da un viaggio nel tempo.