Abbiamo avuto il piacere di parlare con il Dott. Antonio Pettinato autore del romanzo Il Destino di Onit. Proprio su questo gli abbiamo fatto diverse domande a cui ha risposto in maniera interessante.
Gentile Dott. Pettinato, ci racconta come è nata la sua passione per la letteratura?
Sono stato sempre un “divoratore di libri sin dai tempi dell’università. E poi ho continuato a leggere molto durante tutta la mia carriera professionale prima da docente e poi da preside e dirigente scolastico. Nell’arco temporale del mio impegno lavorativo ho scritto un romanzo/saggio ed un saggio vero e proprio. Poi, andando in pensione il tempo libero da impegni si dilata e quindi “se hai il romanzo dentro”, come dice Proust, ti viene voglia di “tradurlo” e se, soprattutto hai dei valori o dei contenuti oggettivi e con i caratteri della “universalità, ti piace tirarli fuori da te, scriverli e condividerli, anche se il libro, del resto come tutti gli “Scritti”, è di natura autobiografica. Chi pensa di scrivere un libro, secondo me, deve avere letto molto, oltre ad “avere il romanzo dentro”, ed io credo di soddisfare questa esigenza. Ne sono conferma anche tutte le recensioni ricevute e visionabili sui siti delle case editrici.
Come si arriva al libro “Il Destino di Onit”?
In verità non era questa la mia idea iniziale perché il titolo della prima bozza era “I racconti di Onit nel borgo di Ipul” con sottotitolo “Le catene di Andromeda sono le stelle. E quelle di Onit…? E la copertina riproduceva un’immagine della costellazione di Andromeda con evidenziato Aret, pianeta gemello della Terra in cui è ambientato il romanzo. L’attuale diversa copertina, compreso il titolo e il sottotitolo, è una legittima scelta dell’Editore. La spinta “propulsiva” iniziale, “il romanzo che avevo dentro”, era quella di affrontare, in chiave di autoanalisi, confidando anche nella “terapeuticità della scrittura, il problema del rapporto irrisolto, di natura edipico/patologica, tra me e mia madre. Tale indagine mi ha portato, irrimediabilmente, a dover affrontare altri scenari ed altri luoghi collegati con la figura materna: il rapporto con suo padre, con gli altri fratelli e sorelle, col borgo natio, con le problematiche religiose. A questo punto mi è venuto del tutto naturale approfondire l’indagine sui luoghi, su altri personaggi, sulle varie tipologie di ritualità, soprattutto religiose, sui costumi, sulle relazioni interpersonali e tutto ciò mi è servito per affrontare l’altro problema che volevo affrontare, cioè quello del falso mito della cosiddetta “bontà” della civiltà contadina dalla quale, socialmente provengo. Vanno in questa direzione tutti i racconti, relativi a luoghi, situazioni e personaggi a volte tragicomici, a volte tragici a volte truculenti e violenti, a volte antropologicamente sottosviluppati i vari racconti sono tenuti insieme proprio da questi due “filoni” e il puzzle che alla fine compare riproduce un affresco, a volte a tinte forti altre con evidenti venature di nostalgia, di come si viveva, negli anni ’50 del secolo scorso, in un borgo chiuso, autarchico, con scarsissime ed inefficienti vie di comunicazione.: cioè in pieno Medioevo! Naturalmente, come in ogni romanzo che si rispetti, non potevano mancare il sesso, l’erotismo, l’amore e il racconto “L’orto del peccato” ne rappresenta al massimo il senso più autentico.
Ha scritto anche un romanzo precedente molto interessante, ce lo racconta?
Nel 2015 ho pubblicato il romanzo Il SOPRAVVISSUTO che racconta la dolorosa vicenda di un uomo, un quadro dipinto a spatola con ampi magistrali tratti, una narrazione intensa e dolorosa. La malattia (cancro al cervello) restituisce la cifra di un uomo che si fa personaggio e dunque assurge a paradigma di una narrazione dove il particolare diventa universale nel momento in cui si trova davanti la francescana “sorella”. L’ineludibile appuntamento è descritto con umana sofferenza, ma anche con spirito di ribellione propria dell’eroe che si ribella al fato e cambia il suo destino. Compagna e sostenitrice, la figura femminile guida e indica il cammino. Compagna di viaggio, “Rosetta Roccia”, una vita insieme, archetipo dell’amore forte e maturo che non rinuncia mai allo stupore magico all’innamoramento. L’irrompere improvviso nella narrazione di frequenti flashback, consente di rielaborare il vissuto passato alla luce del presente, mentre si arricchisce di nuove connotazioni. La lettura scorre agevole e veloce attraverso una narrazione retrospettiva a volte nostalgica, ma sempre fiera, nella pienezza di una vita intensa che si va dispiegando fino al momento della malattia. Una dura prova che fa vacillare la mente e il corpo, ma da cui si può uscire rinnovati, quasi risorti; l’Amore guida il sentiero verso la guarigione e il ritrovamento di se stessi. Il racconto rappresenta un tributo all’amore e alla persona che lo incarna, è l’esaltazione del potere che esercita sull’uomo mutandone il fato.
Si configura, inoltre, come “lotta tra il bene (la guarigione) e il male (la malattia lunga e mortificante)”, suggellata dalla straordinaria forza di volontà dell’uomo, che non si arrende mai, anzi, trae proprio dal male quel vigore che lo porterà alla guarigione.
Colpito improvvisamente da un tumore al cervello, proprio nel momento in cui riprogettava la sua nuova vita in una città che già amava, dove aveva trovato la “normalità” del vivere serenamente con il suo lavoro e i suoi affetti, appare ancora più atroce, direi crudele, la sorte che l’avrebbe voluto annientare.
Ma “L’uomo” esce vincitore dalla lotta impari perché sostenuto dalla “ragione” e dalla certezza di ritornare libero alla vita.
Spicca all’interno della narrazione una dolce figura femminile, Rosetta, moglie e vero angelo custode.
È lei che gli infonde la forza di lottare contro il demone che gli sta devastando corpo e mente. Anche i “veri amici”, con il loro affetto, sostengono con efficacia l’autore nel contrasto al suo “AVAST” sempre in agguato, che vorrebbe ghermirlo e averla vinta.
Ora a cosa sta lavorando?
In questo momento a niente in quanto in questo periodo prevalgono nel mio agire e nella mia vita problemi familiari sicuramente prioritari rispetto a tutti gli altri compresa la scrittura. Comunque ho tanti altri romanzi dentro e, quando ci saranno le condizioni, credo che verrà fuori qualcos’altro magari un altro “Onit” ma con la barba e i capelli bianchi o un’atroce storia di violenza carnale su una ragazza adolescente di cui sono venuto a conoscenza in questi giorni
A chi consiglierebbe il libro da lei appena scritto?
A chi ha interesse a capire come negli anni “50” del secolo scorso si potesse vivere, in alcune zone d’Italia, in pieno Medioevo.
Comunque il libro, essendo uno “spaccato” sul piano culturale, sociale e antropologico di un borgo in quel periodo, è adatto a tutti con una necessaria chiarificazione: per i lettori che hanno superato i 50/60 anni svolge una funzione “identificatoria”; per gli altri ha una funzione di informazione/formazione.