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Cinema

Steven Spielberg, tutto il grande cinema ESCLUSIVA: ce ne parla Roberto Lasagna

Abbiamo avuto il piacere di ascoltare in ESCLUSIVA Roberto Lasagna noto critico cinematografico e autore del libro Steven Spielberg tutto il grande cinema.

Edito da Weir Book il libro è uscito da poco e contiene un’analisi lucida del grande artista americano. Lasciamo però alla parola a chi ne ha curato l’edizione.

Steven Spielberg (Ansa Foto)

Da dove è nata l’idea di scrivere un nuovo lavoro su Spielberg?

L’idea di un nuovo libro su Spielberg è maturata con il tempo. Mi sono accorto che Spielberg è un regista che necessita di una misura interpretativa di lungo corso. Così, dopo aver esordito nella saggistica con un libretto su Spielberg nel ’93, e dopo aver scritto un libro più completo nel 2006, ho ripreso mano al mio lavoro avventurandomi nuovamente nel mondo del regista cercando di ampliare lo sguardo, di aggiornare la filmografia ma, nello stesso tempo, di permettere a chi legge un’immersione piena e totalizzante nella lettura. Spero che chi legge colga l’aspetto introduttivo, dove l’autore si percepisca anima e corpo come colui che diventa artefice di sogni a occhi aperti. Con il nuovo libro su Spielberg ho voluto verificare i miei punti di vista e correggere alcune imprecisioni del passato, ben sapendo che riscrivere di cinema è anche rivivere e ripensare un’esperienza spettatoriale. In questo nuovo libro sono stato incoraggiato dall’editore Weird, che apprezza particolarmente il mio lavoro. Prediligo di Spielberg il suo rapporto con l’immaginario, caratteristica che proviene dalla sua precoce predisposizione a inventarsi regista e a farsi autore totale sin nei filmini amatoriali. È1 un regista che non piace a Godard (il quale ne parla male confessando però di non avere mai visto un suo film) ma che invece potrebbe piacere a Edgar Morin. Lo sguardo di Richard Dreyfus rivolto nello spazio ne Incontri ravvicinati del terzo tipo è l’invito a un viaggio nel cosmo, in altri cosmi, in quell’incontro di cosmi che sono le persone, un aspetto che la riflessione sulla cultura di massa di Morin ha colto molto attentamente.

Amato dal pubblico, a tratti osteggiato dalla critica come questo autore ha cambiato la storia del cinema?

Spielberg è molto amato e naturalmente si porta, specie da noi, un pregiudizio che riguarda il cinema americano di successo. Al di là del giudizio sul singolo film, e sui gusti che in quanto soggettivi fanno prediligere un’opera rispetto a un’altra, Spielberg ha cambiato il cinema ed è cambiato lui stesso mantenendosi però coerente. Ha cambiato il cinema cambiando il suo stesso cinema, diventando da movie-maker (etichetta attribuita a lui e a George Lucas, artefici di film di grande intrattenimento) a uomo di cinema che può essere definito al contempo movie-maker e filmaker (questa seconda etichetta solitamente attribuita a Scorsese, Coppola e De Palma, gli artisti del cinema americano). Cioè, semplificando, ha portato nel grande spettacolo la sua visione artistica, che contempla coinvolgimento e storia, fantasmi della memoria e esperienze dirompenti per lo spettatore. Ha cambiato il cinema anche in ragione dell’enorme successo e delle scelte produttive, che lo hanno visto artefice di opere in cui ogni dettaglio, persino tutti i corollari distributivi, trovano una collocazione nella prospettiva di una dimensione “globale”. E ha cambiato il cinema perché ha ridato cittadinanza al diritto dello spettatore di potersi meravigliare.

Qual è il suo film che ti ha segnato di più e perché?

Rimasi coinvolto soprattutto da Incontri ravvicinati del terzo tipo. Visto a 11 anni, una sera d’estate in un’arena estiva, mi colpì perché i confini tra il film e lo spazio antistante sembrarono svanire, e il coinvolgimento fu forte. Compresi che in quell’esperienza sensoriale ed emotiva c’era l’utopia di andare incontro all’inconscio che poteva diventare collettivo, trovare un linguaggio per parlare con altri mondi e altre persone. Mi feci l’idea che le assenze (gli alieni che non si vedevano e avevano una dimensione puramente luminosa) avessero il valore di una presenza ancora più forte. Un viaggio spirituale e insieme un film pauroso, perché il viaggio fino alla montagna in cui planano gli alieni presentava qualcosa di spaventoso per me. Fortuna che c’era Truffaut, il regista della Nouvelle Vague, il quale, diversamente da Godard, evidentemente amava quel sogno a occhi aperti di un giovane ragazzo che sognava viaggi e nuovi mondi. E fortuna che c’era Richard Dreyfus, il mio attore preferito all’epoca, che nel film sogna di portare i figli a vedere Pinocchio, in realtà perché vuole continuare a credere nelle favole e nel suo potenziale trasformativo. Ecco, per me incontri ravvicinati era l’utopia della sala cinematografica come luogo di incontri, che avrebbero potuto poi continuare fuori dalla sala. E se a distanza di tanti anni parliamo ancora di cinema, forse lo dobbiamo anche a quegli incontri.

Qual è il tallone d’Achille della sua carriera?

Il limite di Spielberg è forse in una certa volontà di essere esemplare. Mi piacciono meno i film che devono insegnare didatticamente qualcosa. E forse piacciono di meno anche al pubblico. E qualche volta è pachidermico o meccanico. Un film come Hook ne avrebbe guadagnato, forse, se non fosse stato così opulento nella parte dell’Isola che non c’è, così come Ready Player One ha parti ridondanti e meccaniche. Mentre altrove, quando è molto ispirato, Spielberg regala gemme, come tra le sequenze di Always, in realtà un film filosofico e realizzato in stato di grazia. Un altro film di assenze e fantasmi, come un seguito di Incontri ravvicinati.

Nella storia del cinema in che punto lo collochi?

Credo che Spielberg si collochi tra i cineasti più influenti dagli anni Settanta in avanti, le cui pagine più significative sono gli inseguimenti dei personaggi per sopravvivere, aspetto che si traduce nel proposito più ampio di vedere sopravvivere i propri sogni di spettatore. Nel lungo corso, si avverte di più come il cinema di Spielberg parli di guerre, di conflitti, di paranoie che affrontiamo e abitano il nostro immaginario. Nel mio libro ho voluto parlare dell’avventura di un uomo che ha avuto l’enorme fortuna di poter mettere al centro della sua visione i suoi sogni, qualche volta ridestando mondi perduti e ripopolando la scena di figure che reclamavano una cittadinanza “come non si era mai visto prima”.

Questo articolo è stato modificato: 20 Luglio 2022 20:16

Pubblicato da
Matteo Fantozzi

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