Antonino Canavacciuolo rivela un retroscena del passato che nessuno conosceva: “Mi veniva la febbre dalla fatica”.
Lo chef stellato ha visto la sua popolarità crescere grazie alla tv ma, già da prima, era famoso grazie ai suoi ristoranti stellati in giro per l’Italia. Dietro alla fama, però, c’è stato un lavoro molto faticoso che Antonino ha iniziato quando era solo un ragazzino.
Canavacciuolo è nato a Vico Equense, in Campania, e cresciuto nella piccola frazione di Ticciano. La passione per la cucina l’ha ereditata da papà Andrea, cuoco e insegnante di cucina presso l’istituto alberghiero della cittadina, che ha frequentato anche lui. Nonostante questo inizialmente, ha raccontato Antonino a Il Corriere, il padre non era molto d’accordo che lui prendesse questa strada.
Quando era piccolo non lo vedeva quasi mai: usciva la mattina presto e tornava all’una di notte. Forse proprio per questo suo papà non voleva questa vita per lui ma Antonino è sempre stato caparbio e fin da piccolo amava le sfide. La gavetta per arrivare dov’è arrivato, però, è stata lunga e molto difficile. Canavacciuolo ha iniziato a lavorare a 13 anni e mezzo nelle cucine e ha visto e subito situazioni che oggi sarebbero impensabili. Ecco cos’ha raccontato sulle sue prime esperienze in questo mondo.
Antonino Canavacciuolo e la rivelazione shock: “Oggi sarebbero considerati maltrattamenti”
A Il Corriere lo chef ha raccontato che da ragazzino gli capitava spesso di tornare “con le braccia e le spalle blu per le mazzate”. Ha spiegato, infatti, che non di rado lo chef per il quale lavorava usava le maniere forti con lui, che era solo un ragazzino: “Oggi sarebbe arrestato per maltrattamenti…ma a me è servito” ha rivelato.
Una gavetta davvero difficile per Cavanacciuolo che suo padre appoggiava in pieno. Conoscendo quel mondo, infatti, sosteneva che evidentemente “le mazzate” se le meritasse. Non solo, Antonino ha raccontato che a volte aveva la febbre per la fatica e che suo padre lo mandava a dormire in macchina: “Solo una volta mi ha portato all’ospedale perché avevo le gambe gonfie come due prosciutti” ha ammesso.
Di certo, visto il suo passato, il lavoro e la fatica non spaventano lo chef che anche oggi continua a seguire i suoi locali. Non ama sentire le lamentele sul lavoro però ha affermato di essere un “capo” attento alla felicità e alla qualità della vita dei suoi dipendenti. Sempre a Il Corriere ha dichiarato di star cercando di aumentare i giorni di chiusura del suo ristorante di punta, Villa Crespi, proprio per consentire maggiore riposo alla sua brigata. Ad aiutarlo ed appoggiarlo sul lavoro c’è sempre sua moglie Cinzia, che è anche la sua socia e manager: insieme sono “drogati” di lavoro e nuove sfide che accolgono sempre con grande energia.