Andrea Adriatico è il regista de “Gli anni amari”, il film sulla vita di Mario Mieli, uno dei primi attivisti del movimento omosessuale italiano
Partiamo proprio dal titolo, come mai “amari”, perché gli anni amari?
Il riferimento è un brano musicale di Pino Daniele, il cui refrain dice “voglio di più di questi anni amari” ed l’immagine che ho io di quel periodo storico, gli anni Settanta. Sono stati un momento di approssimazione ad un’idea di benessere e di felicità. Il movimento del ’77 è l’ultimo che pone come questione per l’essere umano il diritto alla felicità permanente, che è lo slogan con cui il movimento si proponeva nelle proprie battaglie. Non c’era il diritto al successo, il diritto al lavoro, non c’erano questo tipo di obbiettivi, l’obbiettivo primario era avere un’esistenza felice. Quegli anni sono stati frantumati da un passaggio alla strategia della tensione, il terrorismo, fino ad arrivare all’83 che poi coincide con l’anno in cui muore Mario Mieli che è l’anno in cui arriva la percezione concreta di una pandemia, quella dell’HIV. L’83 fu sconvolgente. Mario Mieli mori esattamente nel mese, marzo ‘83, in cui in Italia fu pubblicato il primo articolo che parlava di questo fantomatico cancer gay, un cancro gay che stava uccidendo gli omosessuali negli USA.
Quindi gli anni amari sono questo, il passaggio, come l’amarezza, da un’idea, una prospettiva, una possibilità di felicità, di liberazione sessuale, di grandi potenzialità dell’essere umano, alla doccia fredda di un’epoca che è quella che segue subito dopo e che riporta tutto nei dogmi e nei ranghi di una normalità infelice.
Mario Mieli è un personaggio oggi non molto conosciuto, le nuove generazioni spesso non sanno chi sia, eppure è una questione attualissima. Quindi come mai non lo conoscono e perché invece è importante riscoprirlo?
La risposta a questa domanda è la ragione per la quale ho fatto questo film. Il biopic è un genere che permette di riscoprire attraverso il cinema delle figure misconosciute. Mario Mieli è certamente una persona misconosciuta, figurarsi poi per persone di una generazione nata in anni diversi. Mieli rivive perché c’è la più importante associazione gay romana che si chiama circolo Mario Mieli, per cui nella capitale è un nome molto frequentemente rintracciabile, ma difficilmente qualcuno sa chi fosse Mario Mieli davvero. Recuperare Mario Mieli non è semplicemente una questione legata al movimento omosessuale, perché altrimenti questa cosa avrebbe avuto un interesse circoscritto.
Mario Mieli è stato il precursore di un ideale di libertà personale, non a caso nel 1977 il suo libro “Elementi di critica omosessuale”, considerato uno dei primi libri sugli studi di generi in Italia, viene pubblicato da Einaudi nella collana rossa che era una sorta di santuario dell’intellettualità del momento. Un libro che doveva puntare a un concetto molto semplice: l’individuo ha bisogno di una libertà d’espressione e quella libertà è sovrana rispetto a qualsiasi tipo di pulsione dogmatica che uno voglia imprimergli. E questo non è un concetto solamente legato al mondo gay, non a caso Mario Mieli è stato uno dei grandissimi sostenitori del movimento femminista. Perché quello che perseguiva era un concetto di liberazione che fosse la liberazione per tutti, non per qualcuno, non per gli omosessuali, non per i neri, non per gli immigrati, ma la liberazione sessuale dell’essere umano inserita nel quadro di cui parlavo all’inizio, cioè l’idea di perseguire un’esistenza felice e ordinata.
Quindi si parla di libertà per tutti, non solo per gli omosessuali. Questo potrebbe essere un incentivo per guardare il film anche per chi magari non si sente direttamente coinvolto nella causa omosessuale?
Sono cresciuto nell’idea della polisemia dell’arte, un segno da solo non basta per motivare un’azione. Quindi certamente è molto importante Mario Mieli come riferimento per il mondo omosessuale, lo è stato e credo e spero che lo continuerà ad essere. Ma in realtà Mario Mieli è un intellettuale a 360 gradi, è un poeta di altissimo livello, è l’iniziatore musicale di personaggi come Ivan Cattaneo per esempio. È un personaggio che ha tenuto le masse del proletariato. In quegli anni c’era abitudine ad un raduno a Milano, in cui la gioventù proletaria si metteva nella condizione di inquadrare e raccontare le tensioni di quel momento. Questo raduno dei giovani proletari a un certo punto viene interrotto da Mario Mieli e dai suoi amici perché lo stesso proletariato di quel periodo, quindi le giovani forze di sinistra, non tolleravano con facilità la presenza di un movimento gay. Quindi sono stati anni molto complessi. Mario Mieli è quello che nel ’77 prende Dario Fo in una piazza di Bologna e lo strapazza davanti a trenta mila persone.
Lei ha riproposto nel film la scena in cui Mario Mieli va all’Alfa Romeo, con i tacchi a spillo, a intervistare gli operai. Se facciamo un paragone con la società moderna, cosa succederebbe oggi se si presentasse una scena simile?
Da un certo punto di vista verrebbe vissuta con meno sensazionalismo, perché siamo più abituati. Viviamo nell’epoca del Grande Fratello, delle dirette sparate, però allo stesso tempo non c’è una vera conoscenza di cosa voglia dire alterità sessuale. In quegli anni c’era stato Pasolini, con Comizi d’Amore, che va con i microfoni in giro fra le spiagge d’Italia a parlare di sessualità. Mario Mieli si lega molto alla visione Pasoliniana, quindi quelli sono stati anni di sperimentazione molto profonda in cui queste testimonianze venivano fuori con questa forza perché nessuno aveva mai appoggiato un microfono li, nessuno era mai stato con una telecamera li a fare questo tipo di narrazione. Se ci si dovesse andare oggi si perderebbe nel mare magnum del consumo dell’immagine del dialogo che abbiamo su tutto. Questa novità non ci sarebbe certamente più perché noi i veri segreti non li sappiamo leggere.
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Un gesto che passerebbe inosservato nella società di oggi?
Probabilmente sì, si confonderebbe col cinismo con cui ormai si consuma tutto, però allora aveva una valenza politica molto importante e se oggi siamo arrivati a un certo tipo di liberazione, sono quei pionieri che in qualche modo hanno fatto strada e l’hanno fatta anche con le loro provocazioni estreme. L’essere scomodi era una sorta di carta d’identità per poter dialogare col mondo e questa era sicuramente una scomodità molto diversa dalla scomodità che ci può essere oggi. Mario Mieli era una delle persone in assoluto più innovative dal punto di vista del pensiero. E quindi dovremmo chiederci: perché dall’83 è cascato il silenzio su un personaggio così?
Lei ha voluto provare a riparlarne però.
Non è stato facile. Sono stato massacrato da giornali di destra in tutti i modi, da interrogazioni parlamentari. È un argomento più difficile tra trattare adesso che allora. Non so se oggi sarebbe possibile immaginare un Mario Mieli pagato dalla Rai per fare un servizio di quel tipo, questa è la vera domanda. Perché oggi noi parleremmo volentieri dell’omosessuale o della figura dell’omosessuale macchiettistica che non è scomoda, non fa paura, che è quella della persona sulla quale è possibile indirizzare quell’ironia del diverso da sé. L’omosessuale che è dentro il Grande Fratello, di solito, è quello che ha meno condizioni di vicinanza con l’alterità.
É come se dicessero “va bene l’omosessuale, ma deve essere quello?
Esatto, mentre Mario Mieli diceva che la sessualità è come l’impronta digitale, non ce ne sono mai due uguali. Non ci sono due omosessuali uguali, due eterosessuali uguali, ognuno vive la propria storia sessuale che è la rappresentazione del sé, e quindi una delle cose più private che esistano.
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Parlando invece della provocazione, perché Mario Mieli ha provocato molto nella sua vita, nella morte avvenuta per suicidio, quanto c’è stato di sofferenza e stanchezza e quanto invece di provocazione? C’è stato un voler provocare anche attraverso la sua morte?
Questo glielo posso dire attraverso il lunghissimo lavoro di recupero delle informazioni che ho fatto, fra interviste di persone che gli erano accanto e che hanno visto il declino. Io penso che da quello che ho sentito in questi racconti Mario sia stato molto addolorato dal contesto che gli si era chiuso intorno, perché non aveva più vie di uscita. Aveva scritto questo romanzo che ancora oggi nel 2020 non è stato pubblicato, sotto contratto con Einaudi. Un romanzo di certissimo valore che si può leggere perché è stato fatto uscire in forma certosina, poi ritirato dalla famiglia, bruciato, c’è tutta una discussione intorno ad esso. Però la ferita profonda che lui ebbe per la mancata pubblicazione di quel romanzo, sicuramente è stato un elemento molto importante.
Si è sentito sconfitto dopo una vita di lotta ha sentito di non poter più lottare?
Era arrivato oltre, aveva superato il limite. Aveva superato un limite fisico nel senso che comunque quelli erano anni in cui gli abusi di droghe avevano un peso. La cosa più significativa è che nella sua breve esistenza quel segno, quel libro, era il suo libro autobiografico più importante e vederlo massacrato e rifiutato, con questa violenta condizione di difficoltà nel pubblicarlo, credo che abbia fatto sì che maturassero una serie di questioni che l’hanno portato a non avere più un contatto con la realtà. C’era stata anche la rottura dell’importantissima storia d’amore con Umberto Pasti, quindi si era mescolato il disagio privato con il disagio pubblico. Questo è uno dei momenti più dolorosi per un essere umano, quando la visione interiore e quella esteriore si incrociano.
Quindi possiamo dire che l’eredità che ha lasciato Mario Mieli e che vuole lasciare anche il suo film è quella di vivere liberamente? Vivere e lascia vivere?
Io per tutta la vita mi sono occupato solo di autori che puntassero alla libertà personale. Recuperare il benessere è la cosa di cui abbiamo più bisogno.
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