Peppino Impastato figlio Felicia Impastato: una fine drammatica

Peppino Impastato è stato un giornalista e attivista, noto specialmente per la sua ostinata lotta contro la mafia e per essere stato ucciso proprio da essa.

Peppino Impastato
Peppino Impastato

Peppino Impastato è una delle vittime della mafia che hanno fatto più rumore in Italia, giornalista e attivista impegnato contro ogni attività di Cosa nostra, tragicamente assassinato.

L’uomo era nato in una famiglia mafiosa, di cui il padre era stato durante gli anni del fascismo inviato al confino, proprio per attività mafiose.

Anche lo zio e altri parenti di Giuseppe, detto Peppino, erano collegati al mondo criminale e addirittura il cognato del padre, Cesare Manzella era il capomafia del paese.

Peppino non sopportava i legami di sangue che lo accostavano a questo mondo così tanto lontano da lui e per questo decise molto presto di rompere tutti i rapporti con il padre e fu cacciato di casa.

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Da lì iniziò la sua attività e impegno politico e culturale di sinistra e soprattutto antimafia.

Tra le sue iniziative più importanti ci fu la fondazione del 1977 di Radio Aut, cioè una radio autofinanziata e libera dove parlava senza peli sulla lingua di tutti i crimini e degli affari legati ai mafiosi di Cinisi e di Terrasini, spesso sbeffeggiandoli.

Peppino Impastato, una storia drammatica

Peppino Impastato
Peppino Impastato

Della sua vita Peppino Impastato ne ha fatto una vera e propria lotta contro la mafia, di cui denunciava senza alcuna paura nomi di personaggi di spicco come ad esempio il capomafia Gaetano Badalamenti.

Fu proprio quest’ultimo il mandante dell’omicidio che pose fine per sempre alla vita di Peppino e di tutti i suoi sacrifici e l’impegno contro il crimine.

L’uomo nel 1978 si candidò in lista di Democrazia proletaria per le elezioni comunali, ma non riuscì mai a sapere l’esito delle votazioni poiché nella notte tra il 8 e il 9 maggio fu brutalmente assassinato.

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Il suo corpo fu adagiato sui binari della ferrovia e al di sotto di esso fu messa una carica di tritolo, poiché la mafia voleva che questo incidente apparisse come un suicidio e non un omicidio.

Successivamente grazie all’impegno del giudice consigliere istruttore Rocco Chinnici e del suo successivo sostituto Antonio Caponnetto, si riuscì a riconoscere la matrice mafiosa di tale delitto.

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