Martina Catuzzi, giovane e brillante comedian italiana, recentemente ha ottenuto un discreto successo su Raidue con la trasmissione “Battute?”. Ci ha raccontato quanto può essere complesso fare satira convincente al giorno d’oggi.
La satira si fa maggiormente nei locali e viene, alle soglie del 2020, considerata ancora come una rarità. In certi casi persino come un tabù da superare: teoricamente si può ridere di tutto, praticamente non è così. Esistono delle zone franche, delle regole non scritte, per cui ci sono certi ambiti in cui è meglio non avventurarsi. Certi argomenti è preferibile non affrontarli, quindi finisce che siamo un popolo ricco di attori e monologhisti validi con il freno a mano tirato.
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Se n’è accorto Netflix che, in Italia come altrove, ha portato la standup comedy – cioè quella forma d’arte che prevede sul palco esclusivamente il monologhista al cospetto del pubblico, dotato solamente di un microfono e del proprio talento, quando c’è – in streaming rendendola fruibile a tutti. Qualche tempo prima ci aveva provato (con ottimi riscontri) Sky, tant’è che continua a farlo periodicamente, proponendo esibizioni di volti noti in tal senso sul satellite.
La tivù generalista, a tal proposito, per anni ha nicchiato: abbiamo vissuto con il ricordo indelebile di Guzzanti e Luttazzi, allontanati e riproposti tempo dopo, convincendoci che la satira fosse un “morbo” che era meglio non sviluppare. Avanti con le parodie, con i riadattamenti, ma i monologhi erano una sorta di pericolo che veniva allontanato il più possibile. A meno che non affrontassero argomenti triti e ritriti, da cabaret più classico e meno avanguardista.
Poi, più recentemente, Giovanni Benincasa (autore e ideatore di format che hanno fatto la storia della nostra televisione) ha deciso che era il momento di rompere questa ‘barriera ideale’ e che ci fosse ancora posto per satira di qualità nel servizio pubblico. Un primo passo verso il progresso artistico e recitativo in tale ambito l’ha fatto “Battute?”, il punto interrogativo nel titolo spiega in breve tutto l’azzardo e la voglia di scommettere su contenuti televisivamente nuovi: un tavolo di battutisti, più o meno conosciuti, che si sfidano a colpi di monologhi e massime pungenti sugli argomenti di cultura generale più in voga. Senza alcun timore reverenziale o inibizione.
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Quest’avventura è durata qualche mese, su Raidue in seconda serata, dove giovani artisti si sono contesi le risate e gli applausi di un pubblico esigente. A tirare le fila di questo ‘carrozzone’ Riccardo Rossi. Meglio conosciuto con il soprannome #RikyRiky: il merito di questo vezzeggiativo va a Martina Catuzzi, brillante comedian che porta in tutta Italia la sua comicità fino a fare capolino prima su Sky (al fianco di Saverio Raimondo in CCN e singolarmente nella striscia periodica “Stand Up Comedy” su Comedy Central) e poi su Raidue. Complicità artistica con Riccardo Rossi a parte, è una ragazza poliedrica che non si accontenta di far ridere in maniera scontata: cerca di migliorarsi sempre affrontando gli argomenti più disparati, mette in piazza vizi e virtù di giovani e meno giovani usando solo l’arte dell’eloquenza. L’abbiamo incontrata, nonostante fosse oberata di lavoro fra un impegno e l’altro, per farci raccontare com’è fare satira lontano dai riflettori del tubo catodico. Oggi c’è ancora qualcosa su cui ridere? A giudicare dagli applausi che riceve dopo ogni esibizione sì, ma la strada del successo è lastricata di incertezze e rimorsi strozzati in gola. Ha provato a condurci nel sentiero tortuoso della quotidianità di chi sa far emozionare e sorridere (anche) per mestiere.
Hai iniziato a fare standup comedy partecipando a una serata Open Mic: quanto conta gettare il cuore oltre l’ostacolo per chi vuole far ridere per mestiere?
“È fondamentale. Bisogna uscire in continuazione dalla propria zona di comfort per andare avanti in questo mestiere. Lo si fa ogni volta che si provano battute che non funzionano o quando ci si trova davanti a un pubblico che non è il tuo target, o quando devi far ridere ma dentro sei triste o arrabbiata. Per prima cosa devi avere il coraggio di affrontare tutti questi ostacoli. Se sei bravissima ma fifona non salirai mai su un palco e nessuno lo saprà. Quindi il coraggio può contare perfino più della bravura!”.
Tu hai affermato che Verdone è un po’ il tuo guru perché mette nella comicità una morale profonda: per te, quindi, la comicità ha un valore didascalico?
“No, non sempre. I film classici di Verdone mi piacciono per quello, però mi piace anche ridere per ridere. Non ho per forza bisogno di una morale. Se c’è è un valore aggiunto ma quando prende il sopravvento sulla comicità e diventa noia preferisco farne a meno”.
La standup comedy è meglio dal vivo o in televisione?
“La standup comedy è dal vivo. È un po’ la stessa differenza che c’è nella musica tra un concerto live o un cd. È molto bello ascoltare un cd, spesso conosci un artista grazie al cd ma se poi ti piace davvero vai al concerto”.
Vieni dal teatro, c’è uno spettacolo che vorresti fare o una parte che vorresti interpretare?
“Io ho una formazione classica ma oggi come oggi non mi piacerebbe interpretare un’opera classica. Mi piace il teatro di Pippo Delbono, farei uno spettacolo con lui se mi chiamasse”.
È difficile proporre satira convincente al giorno d’oggi? Cosa determina l’originalità di un artista all’interno di un genere che (grazie anche a tivù e streaming) comincia ad essere pop?
“È difficile proporre satira convincente oggi, e credo sempre, se non sei convinto tu. Se lo fai per moda, magari senza avere un tuo gusto o una tua esigenza espressiva, sarai simile a tanti altri. Un buon modo per essere originali è non fare o dire una cosa se vedi che l’ha già fatta o detta qualcun altro. Tu dirai: “Tutto qui? Allora è facile”. Invece è difficilissimo, perché spesso se una cosa non l’ha mai fatta o detta nessuno, il motivo è che quella cosa non fa ridere”.
I tuoi monologhi sono al confine con il black humour, come prepari un pezzo? E soprattutto, sei severa con te stessa nel selezionare le parti da tenere e quelle da scartare?
“Sì, il mio può essere al massimo al confine col black humor, senza entrarci effettivamente. Più che altro è cinismo dato dal non voler essere ipocrita. I pezzi nascono in modi diversi, a volte parto da una battuta che mi fa ridere e costruisco un aneddoto per arrivarci, a volte dall’osservazione della realtà o dal voler esorcizzare qualcosa che mi ha infastidito o fatto stare male. Il materiale lo seleziono provandolo. Bisogna essere severi per forza e buttare a volte anche quello che ci piace, se piace solo a noi e non vogliamo rischiare di fare brutta figura”.
Sei mai stata censurata?
“Sì, in televisione non si può dire tutto quello che si vorrebbe, si sa. Nel mio caso si trattava semplicemente di cose divertenti ma non adatte alla tv come argomenti o linguaggio. Non ne ho fatto un dramma perché non stavo denunciando qualcosa di fondamentale importanza per me o per la società. La censura non va accettata o rifiutata a priori. Bisogna essere in grado di valutare quanto questo danneggi quello che vuoi dire e la tua arte e in quel caso trovo anche giusto opporsi”.
Nella standup comedy italiana ci sono i pregiudizi sulle donne? Ti hanno mai sottovalutata (mi riferisco a colleghi)?
“I miei colleghi sono quasi tutti maschi e mi fanno molti complimenti. Un po’ perché sanno che se non me li fanno io li ammazzo, ma un po’ spero anche che siano sinceri. Però i comici hanno molti pregiudizi, certo, non solo sulle donne. I vecchi comici ce li hanno sui nuovi comici, chi fa i monologhi ce li ha su chi fa i personaggi e viceversa, ci sono poi i pregiudizi sulla comicità del sud ecc.. ecc… . Quanti pregiudizi volete? Ce ne sono per tutti. Io non ne ho perché cerco di trattare tutti male allo stesso modo”.
A proposito di colleghi: quanto ti manca #RikyRiky?
“RikyRiky (Riccardo Rossi ndr) è un uomo tutto d’un pezzo che nonostante le mie provocazioni non ha mai vacillato. Abbiamo finito il programma giusto un attimo prima che mi denunciasse per molestie, per cui va bene così”.
Ora che abbiamo tirato fuori l’argomento “Battute?”, che esperienza è stata per te?
“È stata una bella prova. Prima abbiamo parlato di censura e Battute è stato un programma molto più libero di quello che immaginavamo. Il tenore delle battute era spesso politicamente scorretto e siamo riusciti a portare i nostri monologhi in Rai senza rilevanti tagli. Esperienza positiva”.
Hai dichiarato che vorresti approdare su Netflix, c’è un monologo oppure uno spettacolo che hai portato in scena al quale sei più affezionata e che proporresti a loro?
“Beh, porterei “Glitter” che è il mio monologo da un’ora che racchiude il meglio del mio repertorio. Nella sigla di chiusura dello spettacolo poi voglio che scorrano le mie foto con i personaggi che mi sono venuti a vedere: Beyoncé, Jay-z, Rihanna, Michael Jordan, Kevin Hart…”.
La tua comicità si basa in prevalenza sull’amore, i sentimenti e l’ansia: quanto c’è di Martina in ogni monologo? Sei davvero così “cinica” quando parli di passioni o è puramente un artificio retorico che usi per far sorridere?
“Io sono molto romantica e credo nell’amore e nei sentimenti profondi. Divento cinica quando le cose mi sembrano finte e superficiali. Sono così nella vita”.
Abbiamo notato una affinità pazzesca con i tuoi colleghi (gli stessi che c’erano su Raidue) al punto che condividi molti eventi con loro, anche da prima del programma, ma andate davvero così d’accordo?
“Siamo bravissimi attori. Però sì, alla fine ci vediamo talmente spesso da ormai un po’ di anni che ci vogliamo bene per davvero”.
Cosa farai nel prossimo futuro? Dacci qualche anticipazione
“A marzo sarò a Siena e Livorno con il mio spettacolo live e per le altre date seguitemi sui Social!”.
Intervista a cura di Andrea Desideri
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Questo articolo è stato modificato: 6 Gennaio 2020 00:54
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