“Lavorare lì è una benedizione, per molti aspetti. Ma è anche il posto più cinico della terra, si prendono grandissime mazzate. Dopo 10 anni di vita a Los Angeles, non ho un amico. Ma non sono certo l’unico. Questa è un’industria dove gli amici non esistono. Una volta che l’ho capito, mi sono rassegnato e isolato, cominciando a guardare le cose con una penombra nello sguardo che non mi piace avere”.
Presente alla settantatreesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per presentare il suo film L’estate addosso, a parlare a Vanity Fair è il regista romano Gabriele Muccino a proposito della vita negli Stati Uniti, dove si è trasferito da qualche anno.
“Con L’estate addosso sono tornato a fare storie che mi interessano davvero. Hollywood è complessa, traumatica. Solo chi c’è stato può capirne la realtà al di là del sogno e dei luoghi comuni. Ogni viaggio è un’iniziazione a un’altra forma di vita, una possibilità di rimettersi in gioco, di far crollare pregiudizi e buttare via qualche parte di sé. Per esempio, io in inglese non balbetto. In America nessuno sa che sono balbuziente. Appena torno in Italia, ricomincio. La mia balbuzie è figlia della mia insicurezza, che ha radici nella mia adolescenza solitaria” prosegue l’autore de L’ultimo bacio e Ricordati di me.
Prima di dichiarare: “Amo troppo la vita per accettare che scivoli via. Oggi non sono più lo stesso uomo dei miei primi film. Allora non sapevo nemmeno che cosa volesse dire essere un regista, essere marito, padre, ex marito. Ci sono momenti della nostra vita in cui scattano dei clic, in cui capiamo che nulla sarà più come prima”.