ALBERTO SORDI –
“E’ un riso di cui un po’ ci si vergogna. […] Una deviazione dell’infantilismo. […] La bontà: ecco quello che manca totalmente in Sordi. […] Alla comicità d Alberto Sordi ridiamo solo noi: perché solo noi conosciamo il nostro pollo. Ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo. […] Un malato ha la necessità di essere sano, e, preso da questa necessità improrogabile, non ha tempo e modo di preoccuparsi degli altri.”
Con questa citazione tratta da un articolo scritto da Pier Paolo Pasolini il 19 gennaio 1960, intitolata La comicità di Sordi: gli stranieri non ridono, si potrebbe lanciare una riflessione sul cinema di quel tempo, sul cinema che dal neorealismo apriva la sfilacciata strada che portava dritto dritto alla commedia all’italiana non senza occuparsi prima di altre sfumature.
Alberto Sordi insieme a molti altri ne è l’emblema, ma nel suo banale infantilismo forse l’attore romano rappresenta meglio di tutti l’italiano medio del tempo, Un eroe dei nostri tempi per dirla come Mario Monicelli. Ed è proprio quella pellicola a definire i tratti di una comicità che come descriveva Pasolini si rivela in vari modi particolare.
Eroe della mediocrità, di menefreghista tra i menefreghisti. Ed è questo, sempre secondo il regista de Il fiore dalle mille e una notte, il motivo per cui la comicità di Sordi non viene capita all’estero e a dispetto di una Magnani anch’essa romana o di un Tati e di un Chaplin, le sue seppur sfavillanti interpretazioni vengono intese come di basso livello e a contatto con una moralità malsana.
Alberto Sordi è un nostro pollo e noi lo conosciamo, e solo noi italiani, anche vergognandocene un po’, riusciamo a ridere della sua cattiveria che è poi anche la nostra. Nei film di quel periodo rappresenta l’uomo medio che costretto dalle circostanze vive alle spalle degli altri provando ad arrabattarsi per rimediare il necessario per vivere.
Già dal titolo della pellicola di Monicelli si capisce però che ci troviamo di fronte a un qualcosa che descriverà l’epoca. Qui l’eroe si veste di una maschera che lo trasformerà in anti-eroe, meschino, modesto e impaurito da tutti. Sordi interpreta Alberto Menichetti, un modesto impiegato che vive la sua vita ai margini del possibile. Per lui è costantemente presente il pericolo che la polizia possa accusarlo di qualcosa e che lui non sappia come difendersi. Come arma pronta da scagliare contro la forza armata ha un’agendina tascabile dove annota prontamente tutti gli eventi della sua vita per aver sempre pronto un alibi da mostrare. Per una serie di sfortunati eventi si trova incastrato sul posto di lavoro, incastrato dalla polizia, insomma in lotta con la vita. Condotto in una facile storia d’amore con l’ormai prossima all’età matura Franca Valeri, si ritrova come ad avere una moglie da mantenere in quanto sorpreso dal suo capo ad amoreggiare la prega di licenziarsi in cambio di 15.000 lire al mese. La polizia poi lo bracca quando in un battibecco tra amici parlava impropriamente di come evitare di dire paroloni riguardanti bombe, infatti non avrebbe mai detto “Lancio la bomba”.
Inizia un giro di incomprensioni che lo porteranno a litigare anche con il fidanzato di una bella 18enne, un giovanissimo Carlo Pedersoli/ Bud Spencer, che lo crede il suo amante. Tutto si sistemerà non senza fatiche. Senza fare un minimo sforzo Menichetti però si troverà impossibilitato a salvare la faccia e parte della sua vita. Si ritroverà a non vivere la vita, come gli dirà il commissario, per la troppa paura di commettere un atto illegale: perdendo gli amici, il lavoro e magari una buona compagnia. Aggrappandosi solo alle due vecchie zie che sembrano qualcosa più di un tutore di un uomo restato bambino.
Ed è proprio questo infantilismo di fondo che ci fa ridere e divertire, questa comicità primordiale che ci porta a considerare il più che adulto Sordi una sorta di infante inadatto a vivere nella società normale e impossibilitato a rapportarcisi.
La risata che facciamo di fronte alle gesta dell’ “Eroe” ci porta però a provare un leggero senso di vergogna perché anche se di fronte a un’anima innocente, siamo di fronte a un uomo che in tutto e per tutto pur di aver salva la pelle è pronto a dare contro ad amici, donna, parenti o chi che sia. E’ un eroe malsano, che ci fa riflettere e che ci fa capire quanto proprio come un ammalato non può preoccuparsi degli altri attorno a se perché ha troppo bisogno di occuparsi di se stesso. La sua condizione di comicità vive alle spalle degli altri e Menichetti è proprio questo: un uomo che ha superato la maturità ma è completamente fuori da ogni tipo di standard, non per la condizione sociale di medio borghese che occupa ma per come si ritrova costretto tra le mura di un inconsapevole paura psicologica che riesce senza dubbio ad essere più grande di lui stesso.
E’ indeciso e irrefrenabilmente impaurito di fare la fine dello zio anarchico che arriva anche a rinnegare al commissariato. Ed è proprio al commissariato, luogo per eccellenza di questo periodo, basti pensare ad Altri tempi; Peccato che sia una canaglia ecc., che tutto si concretizza, si riassume e si chiarifica. L’uomo chiamato a freddo smentisce tutto e conferma tutto, si dichiara apertamente apolitico giustificando il fatto di non essere ne di destra, ne di sinistro ma per evitare incomprensioni neanche di centro. Confermando che addirittura alle ultime elezioni non ha neanche partecipato e prendendo un bel rimprovero in quanto esso è un dovere del cittadino. Lo stralunato Sordi di fronte alla legge è pronto a “sputare” fuoco su tutti senza avere nessuna remore e dopo che essere stato scagionato dalla Valeri è pronto a ripudiare anch’essa per non essere incastrato in un matrimonio che a lui sembra di convenienza.
La Valeri con la sua solita piccola presenza discreta si ritrova a fare quello che faceva in Piccola posta, la donna medio borghese un po’ in là con gli anni, dimenticata da tutto e da tutti e con voglia di evadere da un mondo che non la soddisfa. E se nel film di Steno è una corrispondente di un rotocalco rosa, Lady Eva una zitella con voglie polacche, qui è una vedova che rinnega il suo passato non per volontà ma per vergogna. Spaccia di essere vissuta molti anni a Bucarest e di aver perso il marito ambasciatore in una spedizione di caccia mentre la realtà è quella di non essere mai fuggita dall’Italia per mancanza di visto e di avere avuto un marito semplicemente maggiordomo. La semplicità della Valeri e il suo tatto tutto femminile non viene mai capito da Sordi e confuso come opportunismo bello e buono.
Il soldato Sordi se ne va per la sua strada proprio come quando sulla chiusura della pellicola arma il fucile sulla camionetta e chiede al suo vicino se ci saranno pericoli. Tutta questa ansia è un analisi di un rapporto conflittuale che si attesta in un periodo particolare della storia italiana e del cinema italiano. Ci troviamo dieci anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’Italia non si è del tutto ripresa anche se ci sono buone prospettive nei confronti di un possibile boom che sta per esplodere e che caratterizzerà il decennio successivo. L’insicurezza insomma è figlia del tempo ed epitetare un uomo così mediocre e pauroso ad eroe è volutamente una provocazione riuscita. Menichetti alla fine non è un cattivo uomo è solo spaventato da quello che per la maggior parte degli uomini è un futuro incerto. Ha vissuto le tragedie del decennio precedente e non vuole assolutamente che la fragilità di quello che si è costruito intorno possa crollargli addosso, e per questo è tormentato dall’ipotesi di un possibile complotto.
Ma l’attore che è la romanità per antonomasia non si fermerà a questa interpretazione ma rappresenterà il lato vile di quel periodo e dei successivi.
La sua carriera inizia con qualche balbuzia dovuta all’insopportabilità che rappresenta il suo volto agli occhi degli spettatori. Sembra quasi incredibile ma al tempo Sordi risultava antipatico e per questo faticò e molto.
All’inizio sarà costretto quindi a dimenarsi in piccoli ruoli per sfuggire a quel ruolo da protagonista che gli brucerebbe la carriera. Il suo atteggiamento di guasta-feste viene già evidenziato da queste macchiette che compaiono brevemente nel dimenarsi di pellicole a volte anche mediocri ed è nel non mediocre Sotto il sole di Roma di Renato Castellani che interpreta un commesso di un negozio di calzature. La bravura è sotto gli occhi di tutti ma questo insopportabile stato di guastatore risulta già evidente, ai dispetti di una banda di poveracci della borgata romana sarà lui responsabile di una denuncia per il furto di un paio di scarpe.
Da ringraziare c’è sicuramente Federico Fellini che prima co Lo Sceicco Bianco e poi con I Vitelloni lo lancia definitivamente nell’olimpo. Il merito del regista è quello di togliere dal volto di Sordi quell’espressione antipatica che in realtà oggi sembra davvero difficile solo da pensare.
E dello stesso anno è l’invenzione di Steno di renderlo il fortunato Nando Merinconi che sarà rappresentato in Un giorno in pretura e Un americano a Roma. Dopo la seppur piccola partecipazione in Via Padova 46 dove interpreta un magistrale rompiscatole è nel ’55 che avviene la svolta. Infatti in quell’anno il “nostro” interpreta tre ruoli di maturazione fondamentali, oltre al già citato Un eroe dei nostri tempi; L’arte di arrangiarsi e Il segno di venere rispettivamente di Luigi Zampa e di Dino Risi. Rappresentano il ritorno verso un personaggio pronto a fare di tutto pur di sfangarla ed è proprio nel secondo che incontra per la prima volta Franca Valeri.
Sempre nello stesso anno oltre ad essere coinvolto in ben 10 pellicole ci risulterà difficile da dimenticare l’interpretazioni ne I pappagalli; Piccola Posta e Bravissimo.
Nel primo seppur la parte non è di rilievo ci si può soffermare sul carattere infame e infantile del Dottor Tanzi, membro di questo condominio amministrato come al solito da Aldo Fabrizi, che tenta con tutti i mezzi possibili di far uscire di casa la moglie per poi approfittarsi della governante giovane e carina.
Nel secondo interpreta un vile, novello Monsieur Verdoux, che tenta di appropriarsi dei beni di un’anziana signora rinchiudendola nel suo pensionato “La casa del gaudio”. Inizierà viziandola fino ad ottenere la tanto desiderata firma sul testamento, tenterà poi di ucciderla in ogni modo ma finendo in un mare di guai. La seppur ignobile prova di viltà risulta agli occhi di tutti divertente anche se immotivata e per dirla come Pasolini senza la bontà che aveva reso famosi celebri comici come Jacques Tati e Charlie Chaplin. Proprio in riferimento all’attore inglese ci viene da pensare al suo Monsieur Verdoux che a differenza di Sordi viene sottolineato il suo atto malvagio da un filo di bontà che lo rende mostro/innocente. Il gesto di non punire la ragazza che ha perso il marito e il fatto della moglie malata e costretta alla sedia a rotelle ci fanno sforzare di vederlo diversamente. Sordi invece è vile, meschino e divertito da questo suo fare. Tratta con leggerezza la vita ma quella degli altri, e pensa a procurarsi il benessere senza averne particolare bisogno e evitando il lavoro vero e proprio visto un po’ come una punizione.
In Bravissimo poi la sua prova è magistrale, impersona un maestro elementare dalle sfacciate pretese. Nel dopo scuola si occupa di un bimbo dalle straordinarie doti canore per via di due tonsille dalle spropositate misure. Decide allora di prendersene cura per cercare un proprio tornaconto dato che poi il padre è anche in carcere. Lo difenderà dal ritorno degli zii più per un introito monetario che per affetto e quando il bambino sarà costretto a operarsi alle tonsille perdendo la sua dote, nessuno lo vorrà più. Proprio nel momento della riconsegna al padre tutti si renderanno conto che sa anche suonare il piano in maniera magistrale, facendo ridere ma lasciando l’amaro in bocca di un ragazzino che se non ha una dote non è niente, neanche depositario di affetto.
Molti anni più tardi sarà Maurizio Grande a darci un bello spaccato ancora dell’attore romano, definendo la sua recitazione e confrontandola con i modelli proposti dallo spettacolo.
Gli attori saranno divisi in due categorie distinte: quelli che si modellano sotto la tipologia del personaggi, cioè quelli che sono indossatori di maschere della tipologia che si ispira agli studi di Stanislavkij e quelli che sono costruttori di immagini che modellano sul loro volto l’immagine, e lavorano sul travestimento e sulla deformazione. Sordi si veste un po’ dell’una e un po’ dell’altra, è permeato di un brechtismo carnevalesco, rifiuta l’immedesimazione e attiva una continua dissociazione tra la maschera e il suo essere uomo. Si sconfessa da solo, non aderisce alla sua immagine e fa fuoriuscire il patetico; tante volte arrivando egli stesso a prendersi gioco del suo doppio. Come dirà Grande: “il mito di Alberto Sordi consiste nel fare del cinema la favola grottesca degli italiani, un continuo carnevale della vita e dei rapporti sociali, dove la maschera non assorbe l’attore ma, al contrario, lo rivela, in un carosello di ingrandimenti e allucinazioni di identità.”.
Per chiudere su uno degli attori che ha fatto la storia del cinema italiano citerò testualmente e senza voler offendere nessuno una battuta impressa nella memoria degli italiani da anni e recitata in un film molto lontano dal periodo analizzato: “Me dispiace, ma io so io e voi non siete un cazzo!”, simbolo di superiorità manifestata.
Matteo Fantozzi